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Nascere, e poi?

Nascere, e poi?

E’ nato e gioia, dolore, stupore, timore si alternano rapidamente.

Per la mamma la nascita è una separazione, anzi un’espulsione. Lo mette al mondo e in questo mondo il papà è il primo testimone.

Lui raccoglie il figlio che è sconosciuto ed estraneo: prende tra le sue braccia un ospite. Dall’interno all’esterno, dall’esterno all’interno: due movimenti opposti si completano.

Lungo tutto lo sviluppo del bambino, il papà dovrà imparare dalla mamma l’essere presente, la serietà dell’attenzione alle cose della vita; certamente la mamma dovrà imparare una certa relativizzazione, una presa di distanza rispetto al suo bisogno di vigilare ed essere attenta.

In tutte le lingue indoeuropee la “m” di mamma è una costante. Il movimento del labiale è molto vicino a quello della suzione e dire mamma riproduce il piacere di succhiare. La “p, d, b” sono invece “esplosive” ed è il suno della sazietà, successivo alla suzione.

Comunque, nell’esercizio della genitorialità l’uomo e la donna devono imparare l’uno dall’altro, senza sopraffarsi.

Per questo il modello della intercambiabilità dei ruoli diviene pericoloso se la madre tende a centrare su di sé tutti i ruoli. In presenza di un padre incerto, quasi spettatore, è importante valorizzare le differenze sessuali tra il maschile ed il femminile in un’ottica di dialogo e completamento.

Passato il “maternage”, il bambino diventa ragazzo ed adolescente. A questo punto avrà bisogno di una presenza propriamente paterna, di una parola diversa da quella della madre. Necessiterà di una certa forma di autorità, la cui espressione più spontanea è quella del padre.

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