Ed essa, già da sola, indirizza la differenziazione delle famiglie batteriche verso specifici enterotipi che appaiono correlati a determinate abitudini alimentari. Dimmi cosa mangi e ti dirò di sei!
Dato che dalla composizione del microbiota (l’insieme dei microrganismi che si trovano nel tubo digerente) dipende il secondo genoma, il microbioma, e lo stato di salute dell’individuo, se vogliamo ridurre l’incidenza di alcune tra le più pericolose malattie del progresso (o quantomeno provarci) dovremmo tentare di ripristinare nel nostro intestino il microbiota di un cacciatore-raccoglitore (un individuo cioè che vive dei prodotti che è in grado di reperire in natura).
Diversi studi che hanno indagato le differenze tra il microbiota intestinale di africani ed europei ci indicano che l’obiettivo da perseguire, per arrivare a questo risultato, consiste innanzitutto nell’aumentare la quota di batteri del genere Prevotella (bacilli anaerobi gram), a spese dei Firmicuti (batteri gram+).
Per far questo (indipendentemente dall’età del soggetto) è necessario procedere ad alcuni cambiamenti delle abitudini alimentari.
Per ottenere sostanziali modifiche del microbiota è sufficiente seguire una nuova dieta per almeno tre giorni consecutivi.
Tre giorni di radicale cambiamento delle abitudini alimentari sono sufficienti per reimpostare l’enterotipo. Pertanto se lo scopo consiste nell’andare a selezionare batteri del tipo Prevotella, nel corso di questa prima fase sarà fondamentale mangiare soltanto alimenti ricchi di fibre vegetali insolubili. Questo cambiamento ridurrà drasticamente e da subito, all’interno del vostro intestino, le percentuali di Firmicuti a favore dei Batteroidi.
Cosa mangiare nel corso di questi tre giorni?
- Carciofi
- asparagi
- cardi
- finocchi
- broccoli
- cavoletti di Bruxelles
- porri
- cipolle
- carote
- cicoria
- manioca
- topinambur
- legumi
ma anche frutta come
- banane
- mele
- prugne
- fichi
- kiwi
- noci
- mandorle
- nocciole
- noci brasiliane (e poi a seguire tutti gli altri vegetali)
Il tutto cucinato nei modi che ritenete più appetitosi: il metodo di cottura conta poco.
Non dimentichiamo inoltre il riso integrale, che sarebbe meglio utilizzare al posto dei cereali.
Il passo successivo ha lo scopo di stabilizzare nel tempo il cambiamento ottenuto e consiste nel reintrodurre nella dieta parte delle carni del pesce e dei latticini che erano stati rimossi nel corso dei primi tre giorni cercando, nel contempo, di mantenere il più possibile costante la quota di alimenti fibrosi.
Per un europeo abituarsi a mangiare in questo modo non è facile, ma le nostre attuali abitudini dietetiche hanno progressivamente ridotto alla fame i nostri enterobatteri selezionandone le specie meno utili dal punto di vista salutare.
Se fate caso a quali siano le verdure più diffuse sulle tavole degli italiani vedrete abbondare lattuga mista (spesso acquistata in busta, prelavata e disinfettata), patate (senza buccia e spesso comprate precotte o surgelate per poter essere cucinate più rapidamente) e pomodori (in buona parte consumati sotto forma di pelati, o passate). Tutti prodotti questi che hanno subito anche processi di pastorizzazione di vario tipo.
Sui nostri piatti si vedono anche pochi cereali integrali provenienti da grani antichi e sempre meno legumi.
Le stesse raccomandazioni che sono state divulgate dalle nostre autorità sanitarie in merito alla razione giornaliera di fibre che sarebbe opportuno assumere (20-35 gr. al giorno), essendo state promulgate al solo scopo di aumentare la massa fecale – in un’epoca in cui ancora non si parlava di microbioma – appaiono oggi incredibilmente basse e decisamente insufficienti a ottenere quelle modifiche del microbiota che andiamo perseguendo.
Veniamo ora alla scelta delle materie prime, ovvero a come fare la spesa nell’ottica di un cacciatore-raccoglitore.
La cosa più importante da ricordare in questo senso è che serve a poco cercare di ripopolare il proprio intestino se poi si assumono sostanze antibatteriche con i cibi.
Ricordate anche che frullare e filtrare le verdure per renderle più cremose è un metodo sicuro per alterarne, con le caratteristiche organolettiche, anche il potenziale nutritivo per i batteri, quindi sarebbe meglio evitare questo tipo di preparazioni.
Oggi sappiamo che la fermentazione – in particolare la fermentazione lattica – oltre a rendere molti cibi più digeribili li rende anche più utili per il nostro microbota intestinale, in quanto un cibo fermentato contiene sia prebiotici che probiotici.
Molti studi rinforzano l’importanza del riscoprire e aggiungere alla nostra dieta una certa quota di cibi che naturalmente contengono probiotici quali: yogurt, kefir, crauti, miso, tempeh, kombucha (tè addolcito e fermentato), prugne (umeboshi), etc
Purtroppo negli ultimi cinquant’anni questo tipo di alimenti è progressivamente scomparso dalle nostre tavole in quanto la nostra dieta si è orientata sempre più verso prodotti di origine industriale.
Prodotti che vengono realizzati mediante tecniche di conservazione diverse in quanto necessitano di una perfetta standardizzazione del gusto, una cosa questa che la fermentazione non è in grado di garantire. E così il lievito chimico – che innesca la lievitazione ma senza indurre quei cambiamenti che rendono l’alimento più digeribile e assimilabile – si è sostituito a quello acido.
Gli yogurt vengono riempiti di zucchero allo scopo di renderli più palatabili.
Le verdure vengono messe sottaceto saltando la fase della fermentazione (un aceto peraltro che è un acido acetico che viene prodotto a livello industriale e non viene più prodotto mediante procedimenti naturali). E quel che è peggio tutto questo ha modificato nel corso del tempo anche il nostro gusto (e quello dei nostri bambini).
La maggior parte delle preparazioni industriali vengono artificialmente deprivate di fibre, addizionate di zuccheri e grassi vegetali modificati e contengono spesso numerose sostanze chimiche che vengono aggiunte come coloranti, conservanti, etc. Sebbene queste sostanze chimiche siano state finora giudicate sicure per uso alimentare, poco o nulla si sa su quelli che possono essere i loro effetti a lungo termine sul microbiota intestinale.
Quello che sappiamo con certezza è che seguire una dieta di tipo “industriale”, ricca cioè di alimenti prodotti in laboratorio anziché cresciuti spontaneamente in natura, è un modo sicuro per selezionare nel nostro intestino i batteri meno salutari.
Può essere interessante sottolineare che nei soggetti obesi si osserva un quadro caratterizzato da una modificazione relativa del microbiota in favore di una tipologia di batteri definiti Firmicuti i quali hanno la particolare capacità di aumentare al massimo le capacità di assorbimento energetico da parte dell’intestino diminuendo al minimo la quantità di calorie espulse con le feci.
Questa tipologia di batteri pare venga selezionata da diete ricche in calorie provenienti da carne, latticini e grassi vegetali idrogenati ed estremamente povere di fibre ed è stata associata allo sviluppo di obesità e malattie metaboliche.
Un’ultima raccomandazione: ricordate che i batteri migliori che vivono nel nostro intestino sono prevalentemente astemi e che, se si abbonda in bevande alcooliche è possibile selezionare un microbiota caratteristico degli alcolisti che pare predisporre a determinate anomalie fisiologiche quali l’accumulo di grasso nel fegato (steatosi).
Seguire queste regole non cambierà la genetica di base di un soggetto, ma sicuramente gli permetterà di migliorare di molto il suo microbiota intestinale e di ridurre significativamente il rischio di sviluppare alcune tra le malattie che fanno bella mostra di sé nelle classifiche delle principali cause di morte di questo secolo e comunque migliorerà in generale tutti i suoi indicatori di salute.